14 27-06 Gennargentu

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domenica  27 giugno 14a  ESCURSIONE  SOCIALE
  Gennargentu

  Descrizione generale Il nome Gennargentu (‘Valico d’argento’) è una contraddizione in termini: è riferito a un passo a q. 1659, non ad una (inesistente) vetta. Il Gennargentu è l’unica montagna sarda senza nome: strano, ma assurdamente vero. L’anonimo doppio-crinale ha, qua e là, at random, una qualche denominazione, attribuita però a tale o tal’altra roccetta, ognuna con la quota uguale all’altra, ognuna con scarso appello visivo per i pastori di un tempo i quali – com’è ovvio per ogni indigeno – avrebbero avuto bisogno di catalogare nominalmente i siti in base a qualcosa che mostrasse una marcata “personalità”; e non lo fecero perché quella montagna pascoliva non aveva personalità.         Lo stesso Alberto della Marmora, mentre misurava questa stranissima cremagliera doppia, spezzata a “L” e incernierata da un ampio passo, fu tratto in inganno, e attribuì l’onore dell’altezza al Bruncu Spina (m 1828), chiamato bruncu non perché assomigli a un ‘muso’ levato contro il cielo, ma perché protrude dirimpetto al territorio di Fonni ed è l’unico ad essere visto da quegl’indigeni: è il loro punto di riferimento. Invece la roccetta che in seguito si rivelò come la più elevata dell’isola rimase senza nome, essendo del tutto insignificante. Questi sono gli antefatti. Pertanto bisogna dare ordine alla nomenclatura, se vogliamo che l’unica montagna della Sardegna priva di vetta riceva un senso. La chilometrica area cacuminale non è altro che una lunghissima dorsale sublineare. Genna Argentu è riferita al passo transitabile che incerniera le due dorsali, oggi chiamato Arcu Genn’argentu (tautologia: arcu-genna, ‘arco-porta’), riferito all’argento perché, essendo il più alto dell’isola, la neve lo grava per mesi. Ai pastori interessava il significato economico di questo passo che mette in comunicazione la Barbágia con l’Ogliastra. A sua volta Bruncu Spina reca il nome di varie calcatreppole, ma anche della ginestra pulvinare, molto presente quassù essendo un relitto dell’Era Glaciale, conservatosi grazie alle sferze gelide provenienti dal quadrante di Fonni. Ma l’anonima roccetta che poi fu dedicata al La Marmora, per i pastori non ha nome. Mentre Bruncu Spina è indicato due volte: uno sta sulla prima cremagliera, uno sull’altra, per la balordaggine dei cartografi favorita dalla noncuranza dei pastori, i quali invece diedero nome a Sas Perdas Crapìas ‘le pietre frantumate’, che sono quella fiumana immensa di sassi spigolosi che ammantano ad E e ad W il secondo Bruncu Spina, dai Cagliaritani chiamati Su Sciùsciu, antichissimo nome ebraico (shoà, shuà) ripetuto due volte (sciù-sciu), ‘la rovina delle rovine’: non è un caso che abbia questo nome tremendo, poiché su quei porfidi caotici non saltano nemmeno i mufloni. Alla Punta La Màrmora la carta militare dà il sotto-titolo di Perda Crapìas, altro errore, perché il toponimo si riferisce alla fiumana citata, distante 600 m. In ogni modo sulla modestissima Punta La Màrmora, vera e propria Cenerentola incompresa, rimossa, vilipesa, i vandali vanno a divertirsi, e spaccano le lapidi via via sostituite (tre nel giro di trent’anni); ma si esercitano anche i politici: gli uni conservano questo oronimo meritato dal geografo che amò la Sardegna più della vita. Gli altri venerano il nome dell’eroico Amsìcora. E così i fondatori della “Repubblica di Malu Entu” hanno affisso da pochi mesi una lapide dedicata all’eroe più amato dai Sardi. E per impedire le allegre frantumazioni delle scolaresche, l’hanno voluta di bronzo: Punta Amsìcora. Non sanno, meschini!, che pure queste lapidi vengono espiantate dai vandali, i quali in Sardegna imperversano come le cavallette del Faraone. È successo persino a quella affissa da Gianni Fanni, socio del CAI di Cagliari, alla parete del diruto Rifugio La Marmora, allo scopo di celebrarne il centenario dalla costruzione. Purtroppo la targa è stata rubata dopo due mesi. Il rifugio fu costruito dal Club Alpino Sardo, che oltre un secolo fa era già in linea con quanto stava accadendo lungo la catena alpina. Tutto quanto raccontato avviene nonostante che la Forestale oggi controlli l’ampio demanio nel tentativo di salvaguardare i mufloni e il fragile ecosistema “alpino”, il quale s’impiantò nel Terziario su un mare di fanghi paleozoici dove le intrusioni dell’Ercinico, pervadendoli con iniezioni silicee a 1400°, hanno trasformato in durissimo gres (filladi quarzifere) tutta la montagna, plissettandola parossisticamente dietro pressioni immense e lasciando emergere, qua e là, mastodontici filoni di porfidi rossicci che occhieggiano dappertutto in Ogliastra, sino a presentarsi con facies sanguigna nel promontorio di Arbatax.     Come si arriva   Partenza dal parcheggio di Media World (Sestu), indi sulla S.S. 131 fino al 40mo km,  indi sulla S.S. 197 fino a Nuralláo – indi a destra per l’area industriale di Ìsili fino alla provinciale di Villanovatùlo – indi a sinistra fino a S.Sofia – indi a destra fino alla cantoniera Ortuàbis – indi a destra sulla S.S. 295 fino alla cantoniera Cossatzu – indi risaliamo nell’intercomunale montana (asfalto sovrastante Aritzo e Désulo) fino all’Arcu Guddetórgiu (10 km) – indi si scende su asfaltino a dx e tosto a sn, poi in saliscendi sullo sterrato fino al Cuile Meriágus.         Itinerario a piedi   Dal Cuìle Meriágus (q. 1250) risaliamo verso S in buona sterrata, la quale conduce alle singole casematte che celano le varie prese dell’acquedotto di Désulo. La sterrata si corrompe sempre più, diventa terrosa e sassosa (durante le piogge pure fangosa) e procede a saliscendi, infine in salita. Giunti all’ultima casetta-acquedotto, che è quella successiva a Báu sa Minna, siamo a q. 1301 ai piedi di S’Ortu is Arágnos o Aráncios. Riceve questo nome un boschetto di Taxus baccata sopravvissuto allo sterminio della foresta, la quale un tempo permaneva oltre q. 1700. Il boschetto fiorisce in mezzo alle “rovine” di Su Sciùsciu, da dove nemmeno gli incendi lo possono sloggiare. Ortu is Arágnos-Aráncios suona come ‘orto dei ragni’ o ‘orto degli aranci’, ma è una paronomasia. Ha la base etimologica nel sardo ortu ‘giardino, orto’ da sum. ur ‘recinto (di orto)’ + suffisso aggettivale tu (cfr. l’aggettivale it. chiudenda). Arágnos ha la base nel sumerico rah ‘rompere, frantumare, sbriciolare’ + nud ‘distendersi, sdraiarsi’: rahnud ‘espanso sulla rovina di pietre’. Ortu is Arágnos significa ‘giardino cresciuto sulla rovina di pietre’. Dalla base sud di Ortu is Arágnos (q. 1301) comincia la vera ascensione, che procede ininterrotta fuori sentiero, in mezzo alla garìga, lungo il ruscelletto che affianca S’Ortu is Arágnos, tagliando le isoipse per un dislivello di 500 m, sino a sbucare a Genna Orìsa, un valico planiziare a q. 1797 dove ceneremo e bivaccheremo. Abbiamo così raggiunto il “Sentiero Italia”. All’alba, rimanendo in quota, andremo per 600 m lungo il “Sentiero Italia” con direzione sud fino a Punta Amsìcora, dove adoreremo il Dio Sole. Chi non crede a tale luminosissima divinità, la commuti col puro pensiero del Dio Unico giudaico-cristiano-musulmano, ed ognuno sta contento. Tornati al bivacco di Genna Orìsa e fatta una sana colazione, discenderemo a est-nord-est lungo il sentiero (“Sentiero Italia”) che declina fino alla fonte sacra di q. 1700, poi declina fino all’evidentissimo Arcu Gennargentu. Da qui ascendiamo su sentiero (“Sentiero Italia”) fino alla Punta Paulínu (q. 1792), tanto per dare un’occhiata alla seconda “cremagliera” che compone la bastionata sommitale della nostra montagna-non-montagna. Ora torniamo sui nostri passi sino all’Arcu Gennargentu, e procediamo a N-W lungo il sentiero di Arcu Artilái-Is Arènas, sostando dopo 600 m all’ex Rifugio La Màrmora, distrutto da un secolo. Dopo la sosta, discendiamo a SW su sentierino lungo la Ròa Paulinu, ossia lungo il filare di ontàni, sino alla Funtana Ménnula Cara, donde comincia una sterrata d’acquedotto che a tornanti collega in discesa fino al Cuìle Meriágus, il nostro sito di partenza.         Raccomandazioni ed avvertenze   –   La tradizione solstiziale di salutare la Luna e il Sole può essere vissuta in gioiosa libertà. Basta portarsi un sacco a pelo, oppure una coperta di pile per avvolgersi. Per i neofiti sarà un bagno di vitalità (ehm…), per i pantofolai una meditazione francescana, che non guasta in tempi di bieco consumismo. –   Sono necessari gli scarponi. Chi indossa scarpe da tennis, verrà escluso alla partenza. –   La vettura deve avere gomme buone e non dev’essere molto bassa (per percorrere la pista di Su Meriágu). –   Portare indumenti “invernali e a cipolla”, e zaino capiente per conservare o ripescare vestiario. –   La moda western di arrostire qualcosa sotto le stelle è molto country. Ma quassù la garìga è rara, persino inadatta a fare fiamma, e ne è proibita l’estirpazione causa la protezione integrale (siamo tra i rarissimi residui dell’Era Glaciale). In più vige l’ordinanza antincendi. –   Quindi, piccioccus, portate cibo precotto o un pratico kebab, vino buono, e un thermos per l’alba. –   Dopo l’aurora, fatto un entusiastico saluto al Sole e consumata la colazione al sacco, scenderemo alla sorgente più elevata della Sardegna (q. 1730), poi risaliremo a Punta Paulínu, indi caleremo e sosteremo all’ex rifugio La Marmora. –   Alle ore 12,30 si pranza all’agriturismo “Girgini” di Mario ed Elena Todde, situato a quota-mille: mangiamo un primo-secondo-vino-formaggio, € 22.         Organizzazione logistica   Partenza da Cagliari nella giornata di sabato 26 giugno con auto proprie dal parcheggio di Media World (Sestu) ore 14:00.         Norme di comportamento da tenersi durante le escursioni   Ogni componente del gruppo durante l’ escursione starà sempre dietro il Direttore di Escursione e ne dovrà seguire scrupolosamente le indicazioni.     Dichiarazione di esonero di responsabilità   Il Club Alpino Italiano promuove la cultura della sicurezza in montagna in tutti i suoi aspetti. Pur tuttavia la frequentazione della montagna comporta dei rischi comunque ineliminabili e pertanto con la richiesta di partecipazione all’escursione il partecipante esplicitamente attesta e dichiara: ·      di non aver alcun impedimento fisico e psichico alla pratica dell’escursionismo, di essere idoneo   dal punto di vista medico e di avere una preparazione fisica adeguata alla difficoltà   dell’escursione; ·      di aver preso visione e di accettare incondizionatamente il Regolamento Escursioni predisposto   dal CAI – Sezione di Cagliari; ·      di ben conoscere le caratteristiche e le difficoltà dell’escursione; ·      di assumersi in proprio in maniera consapevole ogni rischio conseguente o connesso alla   partecipazione all’escursione e pertanto di esonerare fin da ora il CAI Sezione di Cagliari e i   Direttori di Escursione da qualunque responsabilità.     Direttori di Escursione   Pietro Mascia, Emilia Sechi,Tore Dedola.